Introduzione
Alcune opere di Escher sembrano evocare un significato di alienazione. Monaci che vagano in eterni anelli salendo scalinate che tor- nano sempre all’inizio; acqua che cade da una cascata e poi discende risalendo verso l’origine della stessa; si percepisce un senso di un “girare a vuoto” (Escher M.C., Salita e discesa, litografia, 1960; Escher M.C., Cascata, litografia, 1961). Un cercare di conquistare una meta che non si raggiunge mai. Il riferimento a queste opere di Escher è utile per indicare un obiettivo che sembra inarrivabile in ambito didattico. Si tratta dell’integrazione fra didattica e tecnologie. Le due opere di Escher sembrano emanare un ulteriore significato che va oltre l’interpretazione di ciò che è raffigurato e trasmette un senso di disagio relativo al significato di costruzioni impossibili. Ma è proprio una costruzione impossibile la realizzazione di questa integrazione? Sono anni che essa viene analizzata e che si sviluppano tentativi di utilizzare le tecnologie nella scuola, ma sembra di essere sempre al punto iniziale. Si ha l’impressione di andare contro un muro di gomma che costantemente respinge. Il docente prova, ma i suoi sforzi sembrano assorbiti; sono sforzi che non incidono.
Forse la causa può risiedere in un approccio da rivedere?
Da sempre si afferma che il docente deve dedicarsi all’uso didattico delle tecnologie e non deve essere un tecnologo. Ma cosa si intende per tecnologo? Colui che deve interessarsi delle operazioni di riparazione a fronte di malfunzionamenti, di rotture hardware, …? Oppure colui che fa funzionare i dispositivi collegati, che aggiorna il software di sistema, ..., che, in definitiva, sa operare con un pc e gestisce la sua manutenzione?
Se ci si riferisce al primo, è ovvio che deve esserci un tecnico ed è, altresì, ovvio che non deve essere il docente; ma si è fuori dal rapporto fra didattica e tecnologie.
Se ci si riferisce al secondo, forse non si percepisce lo spessore delle tecnologie: non è pensabile che un tecnologo sia colui che svolga le operazioni elencate.
Non occorre impostare analisi per rivendicare che il ruolo di un docente non è quello di fare manutenzione; però, svolgere quei compiti, non è neppure la mansione principale di un vero tecnologo; quei compiti non ne esauriscono il profilo.
Un tecnologo in campo digitale, in riferimento alla scuola, è un professionista che sa costruire con le tecnologie, in particolare con quelle software. Se è così, forse è un po’ sbrigativo dire: «Io sono un docente, non un tecnologo» (quasi si delineasse, per il secondo, una figura di altro spessore). Se il “concorrente” è un tecnologo di questo tipo, allora il docente pecca se non si impegna sul fronte caratteristico del profilo di questo tecnologo.
Ma costruire cosa significa? Per anni ha significato: multimedialità e ipertestualità e web. Il web ha rappresentato e rappresenta tuttora il campo maggiormente frequentato per quanto riguarda l’uso delle tecnologie nella scuola. È bene ricordare che il web è uno “strumento” per presentare e distribuire. Nei fatti facilita il dialogo, non lo crea. Se è vero che il web può essere gestito in modalità dialogica, tuttavia i costruttori del dialogo sono le persone che dialogano. Una discus- sione online, ad esempio con un web forum, è costruita dai parteci- panti; è il loro approccio alla discussione che ne decreta il successo o l’insuccesso. Tuttavia occorre riconoscere che il web ha contribuito allo sviluppo della conoscenza della tecnologie; ha contribuito a quanto c’è di diffuso, su questo versante, nella scuola. Però il web non esaurisce l’approccio alle tecnologie nella didattica.
E allora cosa fare? La Metamorfosi di Escher può aiutarci (Fig. 1).
Figura 1: Metamorfosi (Escher M.C., litografia, 1939/40).
Non soffermiamoci sul significato di metamorfosi, ma cogliamo il senso di allontanamento dal punto iniziale per poi tornarci.
Le prime esperienze di introduzione delle tecnologie nella scuola sono avvenute attraverso la proposta del metodo informatico. Ora sembra di tornare all’inizio: «In the 2012, the UK Government an- nounced that their national ICT (Information and Communication Te- chnology) curriculum was being scrapped because it is harmful and dull and recommended that it be replaced by computer science K–12. […]. In recent days, President Obama, Mark Zuckerberg, and Microsoft have all advocated for kids to learn coding. […]. Programming is the nervous system of the maker revolution. Not only can new virtual products be invented, but programming is required to bring life and intelligence to the physical artifacts a tinkerer or en- gineer makes» (Libow Martinez S., Stager G., 2013).
Nel testo si sostiene la necessità di tornare al coding, inteso non solamente come costruzione programmi, ma come pensiero computazionale che lo sostiene. Per anni la scuola si è allontanata dal coding, avvalorando tale posizione con variegate analisi. Così facendo ha precluso la possibilità di proporre agli studenti vere esperienze di tecnologie. Nel testo si propone un percorso verso la realizzazione di artefatti con un approccio informatico, cercando di far percepire la valenza di questo itinerario.
La struttura del volume prevede due sezioni: una dedicata alla didattica e una al rapporto fra tecnologie e didattica.
Nella prima si analizzano temi quali: rapporto docente-ricercatore; rapporto insegnamento-apprendimento; i saperi e la didattica; rapporto fra docente, studente e sapere; situazioni didattiche; strategie che il docente mette in atto; regolare e dirigere il proprio apprendimento; modalità di progettazione; livelli micro e macro.
Nella seconda si parla di: tecnologie autonome e superiori; tinkering, coding, robotica educativa, tecnologie e inclusione.
Il testo è permeato da continui riferimenti ai sistemi complessi per ricordare costantemente la complessità dell’agire didattico.